A
Torino la "prima" di Tori seduti, film sugli
atleti nazionali di sledge hockey
TORINO
- Mostra il lato umano e divertente degli atleti di sledge
hockey, il documentario "Tori seduti". Un lungometraggio
che racconta l'avventura dei Tori seduti, i primi a diventare
una squadra nazionale di sledge hockey in Italia. Il lavoro
è stato realizzato da Claudio Cavallari e Fabrizio
Scapin, due giovani cineasti italiani che vivono a Parigi.
Alle 21 di stasera, al centro congressi Torino Incontra
della Camera di commercio, appuntamento con la "prima"
del film e incontro con gli autori. "Abbiamo realizzato
questo documentario un po' per caso- spiega Claudio Cavallari-.
Fabrizio Scapin ha un caro amico, Diego Cossotto, che
è ipovedente ed è stato il protagonista
dei suoi cortometraggi. Diego è sempre stato la
sua musa ispiratrice. Un giorno questo ragazzo ci ha detto
che avremmo dovuto conoscere Ciaz, che stava per cominciare
un'avventura che sarebbe potuta essere il soggetto per
un film. E così è stato".
Perché
avete scelto proprio loro come soggetto?
Stavano facendo qualcosa che nessuno aveva mai fatto
in Italia. E nello stesso tempo sapevano che non sarebbero
mai riusciti a vincere, perché prima di far parte
della squadra non avevano mai giocato ad hockey. E'
stata un'esperienza bellissima, dal punto di vista umano
davvero forte.
Chi
sono i protagonisti?
Uno dei protagonisti è Ciaz, il capitano che
all'inizio era anche l'allenatore della squadra. Lui
è stato un punto di riferimento per noi, l'unico
della squadra che sapeva giocare ad hockey anche prima
di diventare disabile. Gli altri sono Andrea Chiarotti,
Stefano Frassinelli, che è il preparatore atletico,
Francesco Mancuso, che è il "comico"
del gruppo e poi Massimo Dorin, l'allenatore, che è
arrivato quasi un anno prima delle Paralimpiadi, a metà
dell'avventura. Lui è l'unico non disabile. Era
allenatore professionista di hockey in piedi e non aveva
mai avuto a che fare con atleti disabili.
Il
documentario ha trovato una distribuzione?
Per la distribuzione, in Italia, siamo in trattativa.
Vorremmo che un ente o una società legata al
mondo paralimpico potesse riuscire a distribuire quante
più copie possibili del dvd. In Francia ci stiamo
muovendo nella stessa direzione e abbiamo già
trovato una casa di distribuzione che è interessata.
Vorremmo diffondere questo film sia tra il grande pubblico
sia nei centri che si occupano di disabilità
e nelle scuole. Credo che sia importante che molte persone
vedano questo film perché da una visione non
pietistica della disabilità. Troppo spesso questi
temi, in televisione e nei documentari, sono trattati
con un pietismo incredibile. Ci sono tristi musiche
in sottofondo, i disabili che raccontano l'incidente
e c'è il parallelo tra il prima e il dopo e ti
viene sempre da pensare "ah, poverino, guarda come
è ridotto". Io credo che con questo documentario,
invece, si riesca a vedere il lato umano e divertente
di questi atleti. Non abbiamo mai parlato dei loro incidenti.
Noi abbiamo preso la disabilità come punto di
partenza di una nuova vita. Poi è ovvio che i
problemi quotidiani di queste persone traspaiano dal
documentario.
Quando
avete cominciato a girare?
Tre anni fa, quando era iniziato il campionato nazionale,
con i Tori seduti, le Aquile del Sud Tirolo e l'armata
Brancaleone, i tre club di Piemonte, Trentino e Lombardia.
Abbiamo cominciato ad andare agli allenamenti. Più
che allo sport eravamo interessati alla squadra, alle
persone. Anche se, con il tempo, ci siamo appassionati
allo sport. Ricordo che quando, alle Paralimpiadi di
Torino, i Tori seduti hanno segnato il loro primo gol
ci siamo messi a piangere. Siamo entrati in campo ad
abbracciarli, anche se la partita non era ancora finita.
L'arbitro si è anche arrabbiato. Io filmavo e
piangevo.
E'
stata difficile relazionarsi con la squadra?
All'inizio ci facevamo un po' di problemi, soprattutto
quando dovevamo riprendere gli atleti negli spogliatoi
o sotto la doccia. Un fatto strano, perché di
solito l'imbarazzo è dalla parte di chi viene
ripreso. Poi però, superata la titubanza, abbiamo
mostrato gli atleti disabili così come sono,
come avremmo fatto con atleti non disabili. In questo
modo lo spettatore non si deve chiedere, mentre li vede
in azione durante le prove o le partite, 'chissà
come sono' e può riuscire ad andare oltre l'aspetto
della disabilità.
Quanto
è costato realizzare il documentario?
Abbastanza, e stiamo ancora aspettando i finanziamenti.
Abbiamo avuto un anticipo dal Coni regionale ma poi
il resto è stato auto-finanziato. Comunque sono
davvero felice di quest'esperienza, il mio approccio
verso la disabilità è cambiato. Prima,
il pensiero di poter restare disabile era tremendo,
un incubo. Ora, dopo dove aver visto questi atleti che
si divertono e vivono con energia, ho cambiato prospettiva.
Ho visto che l'handicap si può superare, e con
gran classe anche.
(Stefania Prandi, da www.superabile.it)
(18 aprile 2007)